5 aprile 2013

Carrozzeria Bertone: vedova e figlia mandano in fallimento la prestigiosa azienda

Ha portato l'azienda al tracollo, ha continuato a mantenerla in vita senza alcun piano industriale": per i giudici Lilli Bertone è "pienamente responsabile", perché con le sue mosse ha provocato "gravi danni" all'azienda. Non ha agito da sola, anche la figlia Barbara ha avuto un ruolo decisivo: la madre l'aveva nominata direttore generale "senza averne i poteri"; lei stessa si è sempre comportata come un amministratore delegato, ed era "totalmente consapevole del continuo peggioramento delle condizioni economico finanziarie della società".
Anche lei ha voluto "proseguire ostinatamente nella ricerca di improbabili progetti futuri". 

Con una sentenza di oltre 130 pagine, il neonato "tribunale delle imprese" (presieduto dal giudice Umberto Scotti) ha dunque condannato Emelinda Cortese Bertone detta Lilli, a ripagare la Carrozzeria Bertone sborsando 7 milioni 538 mila euro, di cui 4 milioni e 936 mila euro in solido con la figlia.
Si conclude così il percorso giudiziario di una delle storiche carrozzerie torinesi, entrata in crisi nel 2006 e arrivata a un passo dal chiudere per sempre. A promuovere l'azione di responsabilità sono stati gli amministratori straordinari, Stefano Ambrosini, Vincenzo Nicastro e Giuseppe Perlo, a tutela dei creditori.

Oggi la fabbrica di Grugliasco che produceva i modelli ideati da Nuccio Bertone è di proprietà Fiat, che l'ha trasformata nelle Officine Maserati. Lilli Bertone ha tenuto il marchio e ha rilanciato il Centro Stile. Ma questa è solo la conclusione di una storia tormentata che i giudici hanno ricostruito: "Quando, ad aprile 2007, era emerso che era venuta meno la continuità aziendale e si sarebbe dovuto disporre lo scioglimento della società con la nomina del liquidatore, Lilli Bertone unitamente a Barbara aveva voluto mantenere in vita la società, che pacificamente non aveva più alcuna prospettiva di continuità". 

Il travaglio vissuto dall'azienda aveva raggiunto il suo culmine nei tentativi della vedova di trovare un nuovo partner industriale. "Aveva avviato trattative con Vito Truglia e Domenico Reviglio che in pochi giorni l'avevano convinta a non dar seguito alla trattativa con Gian Mario Rossignolo e di fatto aveva revocato il mandato a tutti i consulenti e si era isolata dalle figlie, arrivando a firmare una lettera di intenti con i predetti" ricordano i magistrati.
La scelta di nominare Barbara "dg" "ha comportato gravi danni alla società": con quella nomina infatti la figlia "aveva firmato la proroga della cassa integrazione, con costi di gran lunga superiori a quelli in caso di concordato".


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