22 novembre 2012

Palermo - Una insegnante intasca stipendio per 7 anni senza insegnare

Non insegnava religione da 7 anni, ma continuava ad intascare il proprio stipendio. Un errore amministrativo che ha fatto guadagnare ad un’insegnante di religione ben 143mila euro. La donna ora è stata denunciata per truffa aggravata dalla Procura, che ha disposto il sequestro equivalente delle case di sua proprietà.
La storia di questa insegnante inizia nel 2003, quando su indicazione della Curia Arcivescovile di Palermo la donna viene assunta in due istituti superiori: il ”Don Calogero Di Vincenti” di Bisacquino e il ”Don G.Colletto” di Corleone. Contratto di un anno in entrambi i casi.
A scadenza del rapporto di lavoro scatta l’errore. Gli istituti scolastici non hanno comunicato alla direzione del tesoro la fine dell’incarico, così il centro elaborazione servizi che provvede alle erogazioni per i dipendenti della pubblica amministrazione, ha continuato a elargirle lo stipendio.
La donna non ha denunciato la svista dell’amministrazione fino al luglio del 2011, quando secondo gli inquirenti, ormai certa che avrebbe avuto di lì a due mesi un incarico da insegnante a tempo indeterminato in una scuola di Grosseto, si è presentata alla Ragioneria di Stato di Palermo autodenunciandosi.
Alla richiesta di restituire i soldi entro 30 giorni, però, ha risposto di essere disoccupata e di non potere fare fronte al debito. E’ scattata così la denuncia. Il pm Sergio Demontis ha delegato l’inchiesta alla Finanza che ha interrogato la donna. L’insegnante ha sostenuto di non essersi mai accorta dello stipendio intascato perché i soldi finivano su un conto cointestato al marito che ne avrebbe avuto la gestione esclusiva.
La tesi non ha convinto gli investigatori che hanno accertato che l’insegnante aveva fatto una serie di operazioni sul conto. Prima di ”autodenunciarsi”, inoltre, la donna avrebbe prosciugato il conto con una serie di diversi prelievi. Il decreto di sequestro delle quote degli immobili, chiesto dal pm, è stato disposto dal gip Maria Pino. Nel caso in cui la donna fosse riconosciuta colpevole dei reati per cui è indagata, e non potesse restituire i 143mila euro, le quote sequestrate andranno allo Stato come risarcimento.

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