12 luglio 2012

Piacenza - La ex vicecomandante della Municipale condannata a 3 anni e 6 mesi

Carla Grilli vicecomandante municipale condannata

Carla Grilli è stata condannata. La pena è di 3 anni e 6 mesi con l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. La ex vicecomandante dovrà risarcire il Comune di 20mila euro e di 5 mila euro per spesa di assistenza. Il collegio ha inoltre ritenuto falsi gli atti di due ricorsi del Comune al giudice di pace e falsa la costituzione di altri 2 atti che riguardavano permessi per la Ztl e per pass invalidi. Grilli però è stata assolta per 3 capi di imputazione sempre riguardanti multe. L'avvocato difensore ha annunciato ricorso in Corte di appello dopo la lettura delle motivazioni della sentenza che saranno rese note tra 90 giorni. La parte civile rappresentata dall'avvocato Elena Vezzulli aveva chiesto la sospensione dai pubblici uffici e un risarcimento totale, sia per il danno patrimoniale sia per le indagini svolte e sia per il danno d'immagine di 69mila euro. L'avvocato difensore aveva chiesto l'assoluzione.

Due ore ciascuno hanno impiegato il pubblico ministero Antonio Colonna e l'avvocato Domenico Maria Chindamo per convincere, rispettivamente, il collegio dei giudici (presieduto da Italo Ghitti, a latere Elena Stoppini e Maurizio Boselli) che Grilli andava condannata e che era, invece, da assolvere. Grilli era accusata di alcuni episodi di falso, per aver favorito alcuni amici davanti al Giudice di pace. Secondo la procura, nei ricorsi al Comune scriveva che un ricorso era inammissibile, mentre in quello al Giudice di pace sosteneva l'ammissibilità. Atti che sono stati compiuti tra il 2003 e il 2005.

GRILLI. L'ultimo atto del processo di primo grado è andato in scena ieri e si aperto con la deposizione del commissario capo della Polizia Municipale. Grilli ha difeso la bontà delle proprie azioni, sostenendo di non aver commesso alcun falso. «Anzi, ho cercato di far recuperare al Comune le spese di notifica». Il commissario è rimasto in aula tutto il giorno e ha sopportato la tensione della lunga attesa, che si è prolungata anche per la sentenza. Il verdetto era atteso per le 18.30, ma i giudici hanno letto la sentenza alle 19.30.Le sentenze, ha ricordato l'imputata, erano tutte visionate dall'ex comandante Carlo Sartori «ed era lui a decidere se proporre appello o meno». Poi, Grilli ha sottolineato - e in seguito lo ha fatto anche il legale - di aver trattato 35mila cause in sette anni «e un errore ci sta». Inoltre, è stata accusata di aver compiuto atti falsi in soli otto casi, di cui è stata condannata per quattro. La ex vice comandante ha poi spiegato nel dettaglio i casi in cui era accusata di aver favorito degli amici, negando gli addebiti.

COLONNA. Dura la requisitoria del pubblico ministero il quale ha esordito affermando che «i fatti sono dimostrati negli atti. C'è un'arroganza al limite della calunnia in ciò che Grilli ha detto, un'arroganza di chi tutela il potere. La connivenza e la complicità rendono odioso questo processo». Tutto parte, ha detto Colonna, dal caso dell'autista dell'ex sindaco Reggi. L'autista venne condannato perché aveva un pass per la Ztl, ma poi vi aveva inserito targhe di altri veicoli appartenenti ad amici. Le tante multe collezionate avevano poi portato tutto a galla, facendo scattare un'inchiesta.Il pm ha insistito molto sul concetto di falso, che ha indotto in errore anche i giudici di pace che si fidavano di lei. «Grilli - ha sottolineato - redigeva atti legittimi e opportuni non per tutelare il Comune, ma i suoi amici». Il pm ha ricordato il caso della donna dalla quale partì l'inchiesta per i pass rilasciati a falsi invalidi. Grilli aveva detto di non aver guardato in faccia la donna, facendo recuperare al Comune le spese di notifica. Il pm, invece, ha affermato, atti alla mano, che la notifica era stata inviata apposta a un indirizzo in cui la donna non viveva più da anni (Grilli, dal canto suo, ha sostenuto che le notifiche erano inviate da un sistema automatico di cui si serviva il Comune all'epoca). "Ci ha preso in giro" ha chiosato Colonna. «Non è vero che l'indirizzo era sbagliato, perché in un ricorso aveva messo l'indirizzo giusto, cioè quello della seconda casa in cui la donna si era trasferita». E ancora: «Al Giudice di pace dava la parvenza di una realtà che lo induceva a compiere un falso, mentre il Comune non sapeva quale atto fosse finito davanti al giudice». E questo perché, ha ricordato Colonna, preparava due atti: quello per il Comune prevedeva l'inammissibilità di un ricorso, quello per il Giudice di pace l'ammissibilità. I giudici, secondo la pubblica accusa, erano appiattiti sulla Grilli, perché si fidavano.





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