5 aprile 2012

Padova - La dottoressa del carcere scambia l'infarto per gastrite: detenuto morto

aggiornamento del 3 ottobre 2018
Il pubblico ministero Orietta Canova aveva sollecitato una condanna esemplare. Il giudice Beatrice Bergamasco ha accolto l'impostazione accusatoria. Un anno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione.
È la condanna inflitta alla dottoressa Orizia D'Agnese, medico di guardia al Due Palazzi, accusata di omicidio colposo in relazione al decesso di Federico Rigolon, 37enne detenuto, stabilitosi da qualche tempo nel Bassanese, che stava scontando la pena per un verdetto definitivo nella casa di reclusione padovana. Il Tribunale ha comunque riconosciuto al medico le attenuanti generiche, dimezzando le richieste della pubblica accusa che aveva sollecitato due anni di carcere.
La dottoressa D'Agnese, difesa dall'avvocato Lorenzo Locatelli, non si sarebbe accorta dell'infarto in atto. Si sarebbe limitata a prescrivere al detenuto farmaci antigastrite. Una colpa gravissima per il magistrato titolare dell'inchiesta che, nel corso della requisitoria, ha avuto parole molto dure nei confronti del medico.
Rigolon aveva un passato di tossicodipendenza. Sarebbe uscito dal carcere nel 2016. Il pomeriggio del 17 aprile 2011 i suoi compagni di cella l'avevano rinvenuto cadavere sulla sua branda: stroncato da un infarto.
Secondo i consulenti della Procura la dottoressa D'Agnese non avrebbe ravvisato fin dal giorno precedente il decesso i sintomi dell'infarto. Rigolon aveva ripetutamente chiesto aiuto all'infermeria del carcere per i forti dolori allo stomaco. Il medico gli aveva prescritto soltanto farmaci senza disporre con massima urgenza un elettrocardiogramma. Per la Procura il decesso poteva essere evitato se il ricovero ospedaliero fosse stato tempestivo.

5 aprile 2012 - Sarà processata l’11 ottobre per omicidio colposo la dottoressa Orizia D’Agnese, quarantunenne medico in servizio nel carcere Due Palazzi, la struttura penitenziaria per i detenuti giudicati in via definitiva. Lo ha deciso ieri il gup Paola Cameran, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Orietta Canova che ha coordinato l’inchiesta sulla morte di Federico Rigolon, 37 anni, originario di Montecchio Vicentino.
L’uomo stava scontando la pena nel carcere padovano quando venne stato colpito da un infarto scambiato per una banale gastrite. Un infarto che gli aveva procurato un dolore lancinante durato quasi ventiquattr’ore. Tuttavia il medico di guardia, Orizia D’Agnese, non aveva creduto alle lamentele del detenuto che avrebbe potuto essere salvato secondo le conclusioni degli esperti nominati dalla procura, il professor Gaetano Thiene e il medico legale Claudio Terranova.
Il 16 aprile dell’anno scorso Rigolon chiede di essere visitato nell’infermeria del Due Palazzi: avverte un dolore molto forte nella parte superiore dell’addome, la cosiddetta regione epigastrica.
La dottoressa D’Agnese lo visita e diagnostica una gastrite, prescrivendo dei farmaci gastroprotettori. Inutile: quel dolore non passa. Anzi, è sempre più violento. Rigolon torna di nuovo in infermeria il 17 aprile alle 7,45. Inutile: la diagnosi non cambia. E, nonostante la sua richiesta di essere trasferito in ospedale, la dottoressa si limita a prescrivere ranitidina per curare la gastrite acuta e Buscopan per contrastare il dolore. Infine, quando Rigolon si presenta per la terza volta davanti al medico intorno alle 11,40 e, con irruenza più che comprensibile, grida esasperato di non farcela più e di sentire un male insopportabile, la dottoressa si risente. Tanto che nel diario clinico riferito al paziente-detenuto segnala il suo comportamento arrogante, aggressivo e privo di rispetto nei suoi confronti.
Al vicentino non resta che tenersi quella fitta e assumere altre compresse contro la gastrite, fino a quel momento prive di qualunque effetto. Il medico, piuttosto spazientita, lo invita anche a smettere di fumare. Poche ore più tardi, nel pomeriggio, durante il consueto controllo la polizia penitenziaria si accorge che l’uomo, steso nel letto della sua cella, non si muove.
Troppo tardi: Federico Rigolon è già morto, ucciso da un infarto miocardico acuto. Per salvargli la vita sarebbero stati sufficienti una coronarografia con angioplastica coronarica e l’applicazione di uno stent. Ma il paziente avrebbe dovuto essere trasferito d’urgenza in ospedale, come lui stesso aveva reclamato con insistenza. Invece non era stato creduto.

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