12 novembre 2011

Messina - Commissaria Ente Fiera condannata per peculato

È rimasta seduta tutta la giornata accanto al suo avvocato Urania Papatheu il giorno della sentenza, «questa grande sperperatrice», così come l’ha definita più volte ironizzando il suo stesso difensore, durante l’arringa.
L’atto giudiziario finale per i suoi diciotto mesi di regno da commissario all’Ente Fiera e i suoi viaggi di lavoro e svago nel 2003, è arrivato alle sette e mezzo di sera dopo quattro ore abbondanti di camera di consiglio.
Sono passati otto anni. Soltanto per il giudizio di primo grado il collegio giudicante è cambiato almeno quattro volte, con tutto ciò che ne consegue. Troppo tempo. Pochi minuti per leggere il dispositivo da parte del presidente della prima sezione penale del Tribunale, il giudice Daniela Urbani: condanna di un anno e mezzo di reclusione (pena sospesa) per la greco-catanese Urania Papatheu.
La condanna della Papatheu è riferita a due peculati per l’uso della carta di credito dell’Ente Fiera, poco più di settemila euro di «spese di vitto» tra ristoranti e alberghi; e un’ipotesi di falso in concorso con un funzionario del Formez (secondo l’accusa i brogli per sistemare la prosecuzione di un contratto a “costo zero” di una collaboratrice dell’Ente).
L’indagine sul “calderone” Ente Fiera divenne visibile nel marzo del 2004. Dopo mesi di accertamenti da parte del procuratore Luigi Croce e del suo sostituto Antonino Nastasi, sfociò nel clamoroso provvedimento restrittivo, ai domiciliari, adottato dal gip Maria Pino nei confronti della Papatheu.
A lavorare sul fronte delle indagini furono gli investigatori della Digos, che dopo aver sequestrato decine di delibere e atti amministrativi, spulciarono carte tra rimborsi spese e appalti.

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